Il Consiglio di Stato traccia la linea di demarcazione tra contratto di appalto di servizi e contratto di somministrazione di personale

Giurisprudenza

08 aprile 2018|di Avv. Michele Leonardi

Con riferimento a quei contratti dove risulta alta (per non dire preponderante o esclusiva) la componente relativa alla manodopera impiegata sorge spesso il dubbio circa la loro reale natura: contratti di appalti di servizi o contratti di somministrazione di personale?

L’importanza della risposta a tale domanda non è di poco momento, se solo si consideri – ad esempio – che la somministrazione di lavoro non è consentita a qualsiasi soggetto imprenditoriale, bensì unicamente alle agenzie iscritte nell’apposito albo presso il Ministero del Lavoro. Qualora infatti un contratto di questa natura venisse gestito da un’impresa diversa, quest’ultima incorrerebbe nell’illecito amministrativo previsto dall’art. 40 della D.Lgs. 81/2015.

Nell’ambito di tale questione risulta essere di particolare importanza ed interesse la sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato n. 1571/2018, depositata lo scorso 12 marzo 2018, la quale si è pronunciata in merito ad un appello presentato avverso la sentenza n. 1129/2017 del TAR Lazio.

In particolare, il ricorso a cui hanno fatto seguito le due pronunce sopra citate era stato proposto avverso una procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento di una serie di attività di supporto (di natura prevalentemente amministrativa) agli uffici della stazione appaltante. Il ricorrente aveva sostenuto che la procedura avviata dalla stazione appaltante fosse stata erroneamente impostata come un “appalto di servizi”, nonostante la stessa avesse ad oggetto una somministrazione di personale, attività riservata ex lege – come ricordato poc’anzi – alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il Ministero del Lavoro.

In primo grado i giudici capitolini aveva respinto il ricorso dopo aver condotto una verifica in ordine ai tratti distintivi tra appalto di servizi e somministrazione di personale, concludendo che – nel caso di specie – i servizi oggetto della procedura e, in particolare, le modalità di esecuzione e di gestione degli stessi integrassero la fattispecie del contratto di appalto di servizi.

Per sciogliere il nodo gordiano relativo alla questione de quo è necessario verificare se, in concreto, sussistano tutti gli elementi costituenti il contratto di appalto e che lo differenziano pertanto da quello di somministrazione di personale. Tali elementi sono in particolare l'assunzione da parte dell’appaltatore del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta, del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa e del rischio di impresa.

Nell’esaminare la questione posta alla sua attenzione da parte della ricorrente con l’atto di appello, il Collegio giudicante rileva innanzitutto la prima differenza sostanziale tra le due tipologie di contratto: “attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro - secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore - secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi”.

La logica conseguenza di tale sostanziale differenza è che “nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire”.

Il Consiglio di Stato, prima di affrontare in concreto le caratteristiche dell’affidamento oggetto di contestazione, richiama quanto sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale sul punto ha dettato gli indici sintomatici della non genuinità di un contratto formalmente qualificato come appalto, ma che in realtà nasconde una somministrazione di personale. Secondo la Suprema Corte, formano elementi costituenti la somministrazione di lavoro: a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; b) l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente; c) l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente; d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività; e) l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore (Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2017, n. 3178).

Tale richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione è fondamentale nel caso di specie in quanto il Consiglio di Stato prende le mosse proprio da tale posizione espressa dal supremo organo della giustizia civile per decretare il carattere fittizio dell’appalto nel caso in esame.

Innanzitutto, secondo il Collegio, nel caso di specie l’amministrazione “mira sostanzialmente ad integrare il proprio personale interno, dimostratosi insufficiente, con altro personale esterno, in modo garantire il regolare svolgimento delle proprie attività d’ufficio. … Un simile scenario sfugge alla logica tipica dell’appalto di servizi - ove l’appaltante affida all’appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse ad un preciso risultato, finalizzate alla realizzazione di un opus dotato di consistenza autonoma - e manifesta affinità, piuttosto, con lo schema tipico della ‘somministrazione di lavoro’ a tempo determinato”.

Altro indice sintomatico della natura di contratto di somministrazione di personale risiede nella determinazione del base d’asta la quale “è stata esclusivamente correlata alle ore/lavoro richieste all’aggiudicatario”. Anche il corrispettivo previsto per l’aggiudicatario viene calcolato sulle ore mensili di lavoro effettivamente svolte “senza che assuma alcun rilievo il concreto risultato conseguito allo svolgimento delle prestazioni lavorative”.

Il Consiglio di Stato osserva inoltre che anche con riguardo all’inserimento del personale nel ciclo produttivo del committente “prevalgono elementi indicatori di una sostanziale contaminazione tra l’attività dei lavoratori della ASL Roma 6 ed i lavoratori inviati dall’appaltatore: quest’ultimi, infatti, come dimostra la definizione contenuta nell’oggetto della prestazione, forniscono un contributo di supporto nell’attività ‘amministrativa’ della ASL; e la dettagliata declinazione di detta funzione di supporto evidenzia come essa si traduca nella ‘collaborazione’ dei lavoratori dell’appaltatore con i dipendenti della ASL”.

Manca inoltre la messa a disposizione da parte dell’appaltatore di mezzi ed attrezzature propri, considerato che il personale dello stesso, per svolgere le prestazioni demandate al proprio personale, avrebbe dovuto utilizzare mezzi ed attrezzature dell’amministrazione, prestando la propria attività presso la sede della stessa.

Si aggiunga inoltre che “non vi è traccia, infine, del fatto che il personale della appaltatrice sia munito di un know-how specifico, ovvero di un patrimonio di conoscenze e di pratiche di uso non comune, quindi di un quid pluris rispetto alla mera capacità professionale dei lavoratori già impiegati presso la ASL, tale da far emergere un apporto qualitativo specifico riconducibile all’appalto di servizio”.

In considerazione di quanto sopra, il Collegio non ha dubbi quindi nell’affermare che nel caso di specie ricorra “la causa ‘tipica’ della somministrazione di lavoro, il cui fine tipico è proprio l’’integrazione’ del personale nell’organigramma del committente”.

I giudizi di Palazzo Spada devono quindi “smontare” le tesi del giudice di prime cure, il quale – come ricordato – aveva individuato nell’affidamento oggetto della procedura di contestazione i connotati dell’appalto di servizi e non già della somministrazione di lavoro.

In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che le attività appaltate fossero qualificabili come una autonoma attività imprenditoriale, in quanto l'impresa aggiudicataria sarebbe stata tenuta ad elaborare e presentare un progetto tecnico in cui dovevano essere esplicitate le modalità organizzative di svolgimento del servizio. La direzione tecnica ed organizzativa – ricorda il Consiglio di Stato – va verificata tuttavia attraverso un accertamento in concreto, avuto riguardo all’oggetto dell’appalto, soprattutto nei casi di “appalti endoaziendali (quale quello qui in esame), caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente”.

Orbene, secondo il Collegio giudicante, “l’appalto in esame presenta vistose contiguità con la fattispecie della somministrazione di personale”, dal momento che:

  • gli orari di lavoro non vengono definiti autonomamente dall’aggiudicatario, ma sono da esso programmati sulla base delle specifiche esigenze della ASL”;
  • quanto alle sostituzioni del personale, si prevede che la ASL possa richiedere la sostituzione del singolo lavoratore assente”;
  • “non vi è traccia di una qualche attività di organizzazione di mezzi e di attrezzature destinate alla esecuzione del servizio”,

tutti elementi che non possono far ravvisare in capo all’aggiudicatario un potere di autonoma ed effettiva organizzazione produttiva.

Come già rilevato in precedenza, una delle differenze sostanziali tra il contratto di appalto e quello di somministrazione di lavoro è che nel primo caso l’oggetto del contratto è un’obbligazione di risultato, mentre nel secondo caso è invece un’obbligazione di mezzo: sulla base di tale considerazione, il Consiglio di Stato afferma che “è evidente che nella gara de qua l’aggiudicatario non ha alcun risultato da raggiungere, poiché oggetto esclusivo della procedura, per quanto già si è esposto, sono mere prestazione lavorative (di segreteria, istruttorie o di supporto alla gestione delle attività amministrative) che, evidentemente, non rappresentano un’articolata ed organizzata prestazione di servizi”.

Sul punto, infine, il Collegio non manca di osservare come “la giurisprudenza ha chiarito che, laddove si verta in fattispecie di appalto in cui la prestazione richiede esclusivamente l'impiego di manodopera, il criterio dell'effettivo esercizio del potere di organizzazione e di direzione, da parte dell'appaltatore o del committente, assume valore decisivo al fine di valutare la genuinità o meno dell'appalto (Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796)”.

Per quanto concerne da ultimo il rischio di impresa (altro elemento caratterizzante il contratto di appalto e invece assente nel contratto di somministrazione di lavoro), il Consiglio di Stato ha rilevato come nel caso di specie:

  • sono in primo luogo assenti investimenti a carico dell’aggiudicatario;
  • non è stata resa dimostrazione di un apporto di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni e, in genere, per sostenere il costo del lavoro), ovvero di know-how e beni immateriali in concreto forniti dalla appaltatrice, aventi rilievo preminente nell'economia dell'appalto;
  • i servizi richiesti dalla ASL vengono quantificati in ore lavoro e retribuiti unicamente per le ore lavorate, circostanza tipica nella somministrazione di lavoro, nella quale non viene retribuito il servizio in quanto tale, ma vengono remunerate le ore di lavoro effettivamente prestate, secondo un meccanismo che elide ogni forma di rischio.

Ultimata la disamina dell’intera questione, il Consiglio di Stato può dunque concludere che “così riconfigurata, la gara si appalesa illegittima sia nella parte in cui non omette di richiamare, quali requisiti di partecipazione, il possesso dell’Autorizzazione Ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo - tutte norme di garanzia applicabili esclusivamente alla ‘somministrazione di lavoro’ e non invece ai contratti d’appalto di servizi”.

Leggi il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12.03.2018, n. 1571.