Come potrebbe cambiare il D.Lgs. 50/2016: la bozza del "decreto correttivo" al codice degli appalti
Normativa
21 febbraio 2017|di Avv. Michele Leonardi
Sfruttando il comma 8 dell’unico articolo della Legge delega n. 11 del 2016, il Governo ha reso nota nei giorni scorsi la bozza del decreto legislativo (o meglio noto come “decreto correttivo”) che dovrebbe andare a modificare alcuni articoli del D.Lgs. 50/2016, a nemmeno un anno dalla sua entrata in vigore e dopo l’emanazione di una parte (seppur ancora minima) delle Linee Guida di cui (proprio ai sensi del nuovo codice) si sarebbe dovuta fare carico ANAC e di alcuni decreti ministeriali.
In realtà non si tratterebbe di un intervento indolore sull’originario testo del D.Lgs. 50/2016, in quanto il “decreto correttivo” consta allo stato attuale di ben 84 articoli, che vanno ad apportare modifiche ad altrettante disposizioni del codice: se in taluni casi si può parlare di correzioni relative a semplici “sviste” (dettate dall’eccessiva foga di varare il nuovo testo di legge entro la scadenza del termine di recepimento nel nostro ordinamento delle direttive europee del 2014 in materia di appalti pubblici e concessioni) non ancora sanate dalle rettifiche apportate lo scorso 15 luglio 2016, per altre fattispecie ci troviamo invece di fronte a veri e proprio cambi di rotta.
Un cambio di rotta, peraltro, non sempre dettato da una lucida volontà di rendere il codice maggiormente confacente alle reali necessità degli operatori (pubblici e privati) che quotidianamente devono confrontarsi (e spesso combattere) con lo stesso. Che il D.Lgs. 50/2016 nella sua attuale formulazione sia un testo empio e a tratti imbarazzante è cosa risaputa, ma la modifica che si vorrebbe apportare ne peggiorerebbe probabilmente la sorte. Un indicatore sulla serietà del legislatore risiede nella già discutibile elencazione delle definizioni culminante con le lettere eeeee), fffff) e ggggg), alle quali si vorrebbe aggiungere le lettere ggggg-bis), ggggg-ter), ggggg-quater) e ggggg-quinquies).
Sono diversi, e ben più cogenti, gli aspetti che si vorrebbero introdurre che portano a definire negativo questo ennesimo intervento legislativo in materia di appalti che solo pochi spunti positivi sono in grado probabilmente di mitigare. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che si tratta ancora di un testo provvisorio che dovrà superare le “forche caudine” di vari pareri (Conferenza unificata, Consiglio di Stato, Commissioni competenti di Camera e Senato) prima di vedere definitivamente la luce entro il 19 aprile 2017.
Da segnare, infine, che lo scorso 17 febbraio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha avviato una consultazione (sulla base di quanto disposto dal comma 2 dell’art. 1 della legge delega) sul testo del decreto correttivo, a cui possono prendere parte le principali categorie dei soggetti destinatari del provvedimento stesso. La consultazione terminerà mercoledì 22 febbraio: il tempo è poco e le questioni aperte restano e rimarranno ancora molte.
Proponiamo di seguito i primi commenti ad alcune delle novità che si vorrebbero introdurre con il decreto correttivo.
DURC e verifiche della congruità della manodopera sul singolo appalto
La prima novità ha le sembianze della infattibilità. All’art. 30, comma 4, si vorrebbe inserire l’inciso “al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato”.
La normativa in materia di verifica della regolarità contributiva all’art. 31 del D.L. 69/2013 è già stata completamente stravolta dall’avvento del c.d. “DURC Online” che ora consente di attestare la regolarità sulla base di un documento rilasciato a fronte della prima richiesta da parte del soggetto interessato. Una volta rilasciato, il medesimo DURC è difatti disponibile per 120 giorni per chiunque (anche se non è proprio così) ne abbia interesse. Questo aspetto rappresentava certamente un dato positivo giacché questa verifica è la più veloce e funzionante fra quelle che devono essere richieste per attestare il possesso dei requisiti di ordine generale di un operatore economico.
Ora il legislatore vorrebbe che il DURC fosse accompagnato da una verifica della congruità dell’incidenza della manodopera in relazione allo specifico contratto. Ciò significa che nelle intenzioni del legislatore non sarà più possibile utilizzare un DURC già richiesto da altri, poiché gli enti previdenziali dovranno dichiarare una conformità legata ad un dato specifico, variabile di volta in volta, ovvero il singolo contratto di appalto della amministrazione richiedente.
Determina a contrarre negli affidamenti diretti
Un ulteriore errore concettuale è rappresentato dalla novella che si vorrebbe introdurre all’art. 32, comma 2, che è una riproposizione (esatta) di un passaggio (inesatto) della Linea Guida ANAC n. 4. Nella Linea Guida l’Autorità sostiene che negli affidamenti diretti ci possa essere un unico atto dirigenziale che concili l’esigenza di determinare a contrarre con quella di aggiudicare e che tale provvedimento prenda le sembianze di una “determina a contrarre o atto equivalente”.
La logica impone che se di due atti se ne fa uno, sia l’ultimo ad incorporare gli elementi del primo, e non viceversa.
Attraverso il nuovo inciso si vorrebbe inserire il medesimo errore concettuale, prevedendo che negli affidamenti diretti l’amministrazione possa “avviare la procedura di affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta e il possesso dei requisiti di carattere generale”.
Si potrebbe piuttosto parlare di determina a contrarre e di aggiudicazione definitiva o – volendo abbreviare il termine – di determina di aggiudicazione definitiva, considerando che tale inciso seguirebbe una disposizione del D. Lgs. 50/2016 secondo cui “prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti, in conformità ai propri ordinamenti, decretano o determinano di contrarre”.
Potenziali modifiche al sottosoglia
Per gli acquisti sottosoglia – che rappresentano la maggior parte delle procedure di acquisto affrontate quotidianamente da ogni singola amministrazione – sembrerebbe non potersi più considerare in via definitiva l’esistenza di un mondo normativo snello ed informale distinto quello certamente più complesso del soprasoglia.
Chi naviga nel mondo degli appalti da qualche anno ha probabilmente avuto la fortuna di conoscere l’importanza di una norma, l’art. 125 del D. Lgs. 163/2006, vera stella polare degli acquisti in economia. La vecchia disciplina consentiva difatti di applicare poche e chiare regole nelle acquisizioni in economia, ovvero quelle in esso contenute, i principi e le norme del regolamento (per gli acquisti in economia) definito da ogni amministrazione.
Il D. Lgs. 50/2016 ha stretto le maglie a questa norma, il cui spirito semplificatore si poteva ritenere esistere ancora (seppur a fatica) anche nel nuovo codice. L’art. 36 stabilisce difatti che “le disposizioni del presente codice si applicano ai contratti pubblici il cui importo, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, è pari o superiore alle soglie” europee: al di sotto di tali soglie, pertanto, si sarebbe potuta evitare l’applicazione di tutte le norme contenute nel D.Lgs. 50/2016.
La modifica proposta al comma 1 dell’art. 35 vorrebbe tuttavia notevolmente mutare la portata prevedendo che (in sostituzione al comma ora esistente) “ai fini dell’applicazione del presente codice, le soglie di rilevanza comunitaria sono […]”, definizione che – di fatto – eliminerebbe la possibilità di considerare ancora esistente una nicchia di poche norme applicabili alle procedure sottosoglia.
Sembrerebbe dunque che le norme tutte contenute nel D.Lgs. 50/2016 non si dovranno più applicare solamente alle procedure il cui valore sia superiore alle soglie ma, indistintamente, ad ogni tipologia di procedura.
La novella vorrebbe però introdurre alcune deroghe, peraltro solo per gli affidamenti diretti, che sembrano tuttavia attutire solo parzialmente gli effetti negativi. In particolare oltre alla deroga – facoltativa – dell’obbligo di richiedere le garanzie provvisoria (modifica al comma 1 dell’art. 93) e definitiva (modifica al comma 11 dell’art. 103) è prevista la limitazione delle verifiche alla sola regolarità contributiva e, pur non definendone le modalità – di talché verrebbe da pensare che si ipotizzi un controllo al di fuori della Banca dati che andrà a sostituire l’AVCPass – l’assenza di procedure concorsuali (vedi sostituzione integrale del comma 5 dell’art. 36).
Possibile addio alla digitalizzazione delle procedure
Il legislatore intenderebbe inoltre fare un definitivo passo indietro rispetto alla digitalizzazione delle procedure. L’art. 37 – nell’attuale formulazione – impone infatti alle pubbliche amministrazioni prive di strumenti telematici o impossibilitate da usarli per indisponibilità delle categorie merceologiche presenti sul Me.Pa. o altri strumenti messi a disposizione dalle centrali di committenza regionali, avuto riguardo agli affidamenti sottosoglia, di seguire le procedure ordinarie per non dover passare attraverso le sabbie mobili che caratterizzano gli acquisti tramite le centrali di committenza.
La novella vorrebbe che in caso di indisponibilità di tali strumenti, anche in relazione alle singole categorie merceologiche, le stazioni appaltanti operassero ai sensi del comma 3 o procedessero (non più mediante lo svolgimento di procedura ordinaria, bensì) secondo procedure individuate dal D. Lgs. 50/2016 (vedi modifica al comma 2 dell’art. 37), fra le quali rientra però inevitabilmente anche la procedura negoziata con invito a 5 operatori che è la procedura da seguire negli affidamenti da 40.000 euro al valore della soglia europea.
Basterebbe, dunque, una piccola modifica per eliminare, di fatto, l’obbligo di realizzare procedure telematiche sottosoglia.
Raggruppamenti temporanei e consorzi: modifiche soggettive in fase di gara e in fase di esecuzione
La possibile aggiunta dei commi 19-bis e 19-ter all’art. 48 del D.Lgs. 5072016 in tema di raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari amplierebbe, da un lato (comma 19-bis), la possibilità anche per tutte le tipologie di consorzi (di cooperative, stabili e ordinari) di “giovarsi” delle norme contenute nei commi 17 e 18 dello stesso art. 48, che consentono ai raggruppamenti temporanei di imprese – in fase di esecuzione ed in presenza di particolari condizioni – di modificare la propria composizione, con una portata solo parzialmente dirompente rispetto all’attuale quadro normativo. Da segnalare soltanto che la proposta di modifica al comma 19 dell’art. 48 andrebbe a chiarire in modo esplicito ciò che nella pratica era già da tempo assodato, vale a dire che – in caso di recesso “volontario” di uno o più membri del raggruppamento (ovvero – se la modifica verrà confermata – anche del consorzio) l’esecuzione del contratto potrà essere proseguita anche “laddove il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto” (anche se – tecnicamente – il termine raggruppamento presupporrebbe la presenza di almeno due soggetti).
Di ben altra portata – soprattutto ai fini pratici – la previsione di cui all’art. 19-ter, la quale permetterebbe a tutti i concorrenti che si presentino in forma non individuale (posto che – anche se non espressamente previsto – se in forza del comma 19-bis le disposizioni di cui ai commi 17, 18 e 19 si applicano anche ai consorzi di ogni genere e specie, così dovrebbe essere anche per la norma di cui al comma 19-ter) di modificare la propria composizione soggettiva anche in fase di gara, al realizzarsi delle condizioni di cui ai commi 17 e 18, ma – e qui risiede l’eventuale portata “innovativa” – anche a seguito di recesso “volontario” di uno o più soggetti facenti parte dell’originaria associazione di imprese (tutto ciò in contrasto al principio finora vigente di immodificabilità della composizione dell’operatore economico in fase di gara).
Clausola sociale negli appalti ad alta intensità di manodopera
Una piccola ma importante modifica all’art. 50 potrebbe imporre alle pubbliche amministrazioni che mettono in gara appalti ad alta intensità di manodopera (vale a dire nei quali il costo della manodopera incide per almeno il 50% sul valore complessivo dell’appalto) di prevedere l’inserimento nei bandi della c.d. “clausola sociale”.
L’attuale inciso “possono inserire” contenuto nel comma 1 dell’art. 50 verrebbe sostituito con il verbo “inseriscono”, di talché dalla facoltatività si passerebbe all’obbligatorietà della previsione della clausola, volta (come ricordato dallo stesso art. 50) a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore”.
Il ritorno (parziale) all’appalto integrato
La novella, ancora, vorrebbe ripristinare all’art. 59 comma 1-bis ed 1-ter, seppur solo parzialmente, l’appalto integrato, limitandolo ad alcune ipotesi. Sarebbe possibile – in particolare – mettere a gara l’appalto integrato nei casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto fosse nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori o qualora ricorressero i presupposti di urgenza di cui all’articolo 63.
Tuttavia, nella prima ipotesi il discrimine è dato da un elemento dal significato incerto. Non esiste difatti alcuna accezione giuridica dell’avverbio “notevolmente”, al che si potrebbe pensare che nelle idee del legislatore l’appalto integrato possa configurarsi non già se è la categoria prevalente ad avere alto contenuto tecnologico o innovativo, ma solo se il valore di questa sia superiore della metà del valore contrattuale.
In merito al secondo aspetto, ovvero la legittimità dell’appalto integrato per ragioni di urgenza, sembra quantomeno rischioso delegare all’appaltatore la definizione nel dettaglio del progetto con la sola garanzia che “in tali casi i contratti riport[i]no l’obbligo di inizio dei lavori entro trenta giorni dall’affidamento”. A parte le conseguenze di natura civilistica, nella ipotesi in cui l’appaltatore non dovesse iniziare i lavori entro tale termine, la risoluzione contrattuale ipotizzabile non sarebbe l’unica conseguenza negativa, ma sarebbe accompagnata dalla inevitabile necessità di dilatare i tempi di inizio dei lavori per la realizzazione di un nuovo progetto esecutivo da parte di un altro operatore economico.
Il “ritorno” alla commissione giudicatrice e sua composizione
Risulta inoltre opportuno segnalare alcune possibili modifiche all’art. 77 in tema di commissione giudicatrice. La prima – positiva – avrebbe l’effetto di eliminare la definizione di “commissione di aggiudicazione”, che tornerebbe ad essere chiamata “commissione giudicatrice” (vedi modifica alla rubrica dell’art. 77).
Ancora, si vorrebbe eliminare l’obbligo di sorteggio dei commissari, che saranno scelti dall’elenco istituito presso ANAC e preventivamente individuati su base regionale direttamente dall’Autorità.
Negativa sarebbe invece quella modifica che vorrebbe imporre definitivamente il presidente esterno, sciogliendo ogni dubbio finora chiarito solo dalla Linea Guida ANAC sul punto, peraltro esorbitante rispetto alla delega conferita.
Non si comprende, infine, lo spirito che accompagna la volontà di modificare alcune norme riferite al RUP che, a seguito della modifica, potrebbe diventare membro della commissione, pur a fronte della confermata incompatibilità del ruolo di commissario per colui che ha partecipato alla procedura o farà parte della successiva fase di esecuzione contrattuale. Sembra che questo inciso abbia la conseguenza di rafforzare maggiormente l’idea che, ormai non più solo potenzialmente, il RUP sia responsabile dell’andamento della procedura e non del contenuto degli atti che la compongono.
Possesso dei requisiti in caso di partecipazione in forma aggregata e soccorso istruttorio “gratuito”
Forse il legislatore aveva dimenticato di riportarla nel nuovo codice, ma il correttivo intenderebbe introdurre una modifica al comma 8 dell’art. 83, mutuando (con un semplice “copia-incolla”) una disposizione già presente nel previgente art. 275 del D.P.R. 207/2010. Si tornerebbe infatti a disporre che “per i soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere d), e), f) e g), nel bando sono indicate le eventuali misure in cui gli stessi requisiti devono essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”, reintroducendo pertanto una sorta di limitazione alle modalità di composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi con riferimento al possesso dei requisiti tra i vari membri del soggetto aggregato.
Scomparirebbe invece – e questa è senza dubbio una nota positiva – l’applicazione di qualsivoglia sanzione in caso di attivazione del soccorso istruttorio per fronteggiare eventuali incompletezze, mancanze od irregolarità presenti nel DGUE o in altre parti della documentazione amministrativa presentata per la partecipazione alle procedure di gara.
Riduzione della garanzia provvisoria
L’introduzione di due incisi all’interno del comma 7 dell’art. 93 che disciplina la presentazione della garanzia provvisoria potrebbe risolvere dei dubbi interpretativi sorti già al momento dell’entrata in vigore del nuovo sistema di decurtazione sull’importo della cauzione provvisoria (e – di conseguenza – definitiva, considerato il richiamo di cui al comma 1dell’art. 103).
Qualora la modifica fosse confermata, si accerterebbe definitivamente la cumulatività della riduzione della cauzione (nella misura del 15%) per gli operatori economici che sviluppano un inventario di gas ad effetto serra ai sensi della norma UNI EN ISO 14064-1 o un'impronta climatica (carbon footprint) di prodotto ai sensi della norma UNI ISO/TS 14067.
Il periodo aggiunto in coda al comma 7, invece, darebbe indicazioni precise su come calcolare la riduzione della garanzia provvisoria in presenza di più fattispecie che possono comportare una decurtazione. Viene infatti precisato che “in caso di cumulo delle riduzioni, la riduzione successiva deve essere calcolata sull’importo che risulta dalla riduzione precedente”: non più pertanto somma di tutte le percentuali di “sconto” (operazione che avrebbe comportato in alcuni casi la possibilità di ridurre l’importo garantito a zero e – di conseguenza – la possibilità di non presentare alcuna garanzia), bensì riduzione progressiva dell’importo da garantire.
Anomalia dell’offerta: nuovi parametri
Possibili modifiche in tema di subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta sia per quanto concerne le procedure aggiudicate con il criterio del prezzo più basso sia per quanto riguarda le procedure aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nel primo caso si procederebbe alla verifica dell’anomalia dell’offerta soltanto in presenza di almeno 10 offerte. Nel secondo caso, il “sospetto” di anomalia delle offerte scatterebbe per quelle di esse che presentino “sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, entrambi pari o superiori ai nove decimi dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara” e non più ai quattro quinti.
Un (mezzo) passo indietro sul subappalto
In materia di subappalto l'obbligo di inserire la terna dei subappaltatori in sede di offerta diverrebbe obbligatoria soltanto qualora la stazione appaltante ritenesse necessario conoscere anticipatamente i nominativi dei subappaltatori e tale richiesta fosse indicata già nel bando di gara: sfuma nel giro di pochissimi giorni la possibilità di eliminare definitivamente tale bizzarria, considerato che nella prima bozza di decreto tale obbligo era stato previsto solo "prima della stipula del contratto". Speriamo che la rotta possa di nuovo cambiare nelle prossime settimane.
Rimarrebbe comunque esclusa l'indicazione della fatidica terna “nel caso di strumenti di acquisto e di negoziazione messi a disposizione da centrali di committenza e aperti all’adesione delle stazioni appaltanti”.
Ancora, la mini-riforma vorrebbe ripristinare la subappaltabilità del 100% delle categorie non prevalenti di opere di lavori, ad esclusione delle SIOS individuate dal Decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248 di valore superiore al 10% a quello posto a base di gara.
Leggi la
bozza del decreto sottoposta a consultazione.