Il Consiglio di Stato traccia la linea di demarcazione tra contratto di subappalto e contratto continuativo di cooperazione
Giurisprudenza
11 febbraio 2019|di Avv. Michele Leonardi
PREMESSA. L’entrata in vigore del Decreto Correttivo al Codice dei Contratti Pubblici (ormai più di un anno e mezzo fa) aveva portato in eredità – tra le molte modifiche apportate – una serie di novità relative all’art. 105 in materia di subappalto. In particolare, al comma 3 di tale disposizione, era stata inserita una nuova forma di affidamento a terzi non rientrante nella categoria del subappalto, vale a dire il contratto continuativo di cooperazione. Sull’ambito di applicazione di questa “nuova tipologia contrattuale” è nata sin da subito una particolare confusione tra gli addetti ai lavori, in quanto – secondo una certa interpretazione – mediante l’impiego di questo contratto e con riferimento a servizi e forniture si sarebbero potute bypassare molte limitazioni insite nel contratto di subappalto.
IL CASO. Nell’ambito di una procedura per l’affidamento di un servizio di ristorazione scolastica, un concorrente aveva ottenuto da parte del giudice amministrativo di primo grado l’esclusione dell’operatore economico nei confronti del quale era stato affidato in via definitiva il contratto di appalto, in quanto risultato carente di alcuni requisiti di esecuzione del servizio. In particolare, il TAR adito in primo grado aveva ritenuto fondato il motivo con il quale la ricorrente lamentava la mancata esclusione della procedura di gara (o, comunque, l’attribuzione di un punteggio superiore a quello meritato) dell’aggiudicatario, perché questo, pur avendo dichiarato di non voler ricorrere all’avvalimento ovvero al subappalto, si era impegnato all’esecuzione di una serie di prestazioni per le quali non era attrezzata, vista la sua competenza nel solo settore della refezione scolastica, ed era stata, in ragione di ciò, costretta a ricorrere a soggetti esterni con i quali già erano in corso trattative.
LA SENTENZA. La pronuncia di primo grado viene quindi appellata dall’aggiudicatario (estromesso dalla competizione in seguito all’esito del primo giudizio), il quale sostiene nell’atto di appello, con specifico riferimento al passaggio sopra riportato, che “l’attività di manutenzione e di assistenza era attività ancillare ed accessoria, che non dava luogo ad un subappalto in senso tecnico, ma a mere subforniture, da effettuare a favore della committente in forza di contratti continuativi di cooperazione stipulati, ai sensi dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del codice dei contratti pubblici, in data anteriore all’indizione della procedura di gara”.
Sotto questo profilo i giudici capitolini osservano in primo caso come il TAR, nel giudizio di primo grado, abbia “disposto l’esclusione in quanto l’aggiudicataria si era impegnata ad effettuare in proprio prestazioni, poi, rimesse a soggetti terzi, senza il necessario ricorso al subappalto o all’avvalimento”. Ciò non significa tuttavia che “gli operatori economici possano eseguire in proprio prestazioni ulteriori rispetto a quelle previste dal contratto d’appalto, anche oltre l’oggetto sociale come definito dal codice di iscrizione alla camera di commercio”, ma è comunque necessario valutare e verificare quando il ricorso al supporto di ditte esterne per l’esecuzione di parte delle prestazioni offerte possa avvenire al di fuori degli istituti del subappalto o dell’avvalimento.
La ricorrente in appello ha sostenuto che il ricorso a maestranze esterne senza la preventiva dichiarazione di subappalto o di avvalimento potesse avvenire mediante il contratto continuativo di cooperazione, previsto espressamente dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis), del Codice: secondo il Consiglio di Stato ciò che nel giudizio de quo deve essere verificata è l’esatta qualificazione dei contratti stipulati dalla ricorrente con ditte terze.
Ciò posto, il Collegio afferma che “le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (ora, come detto, espressamente così definite dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del codice) sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto … Quel che occorre verificare, allora, è la direzione delle prestazioni aggiuntive cui [la ricorrente] si è impegnata nella propria offerta…”.
“… ebbene, salvo che per la manutenzione dei centri cottura in dotazione alla stessa impresa, tutte le altre prestazioni sono inequivocabilmente dirette a favore dell’amministrazione committente … I relativi contratti non possono essere, pertanto, qualificati come “contratti continuativi di cooperazione”, ma propriamente come contratti di subappalto”.
La distinzione tracciata dal Consiglio di Stato tra contratto di subappalto e contratto continuativo di cooperazione limita quindi in modo consistente il campo di applicazione di quest’ultimo, riducendo di gran lunga la possibilità di utilizzare lo stesso da parte delle imprese e superando – in buona parte – quel contrasto con le disposizioni (e i limiti) previsti per il contratto di subappalto.
Leggi il testo integrala della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 27.12.2018, n. 7256.